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Alessandro Spada, Presidente di Assolombarda, nella sua relazione all’Assemblea annuale: “Dobbiamo ripartire dalla fiducia, che è alla base della crescita, per costruire il futuro dei giovani e del Paese”

“Nel corso del 2020, soprattutto nei primi mesi dell’anno, la crescita dell’interscambio di persone e di merci da un lato all’altro del pianeta, che ha caratterizzato l’ultimo mezzo secolo, ha trovato una brusca interruzione. Siamo davanti a una crisi senza precedenti per l’Italia. E affrontiamo una recessione di portata storica per la Lombardia”, così Alessandro Spada, Presidente di Assolombarda, durante la sua Relazione in occasione dell’Assemblea Generale 2020 all’Hangar di Linate.

Riscontriamo, però, che da maggio ad oggi la contrazione nelle serie mensili delle diverse variabili economiche si è progressivamente ridotta. Il rimbalzo è rilevante e ben avviato. A dimostrazione della vitalità delle nostre imprese. Ma la distanza dai livelli pre-Covid è ancora ingente e il recupero è molto disomogeneo tra settori e territori. Pesa, in particolare, l’incertezza nella domanda, sia nel contesto interno sia in quello estero. La globalizzazione sta vivendo uno stress test, ma non si fermerà. Non esiste nessun piccolo mondo antico cui tornare, riportando indietro le lancette. Ora abbiamo il compito di convivere con grandi sfide globali e con rischi sistemici, di convivere con l’imprevisto, di affrontare quei rischi che sono il ventre molle della globalizzazione. Nessuno può isolarsi.

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Il territorio di Milano, Lodi, Monza e Brianza e Pavia, rappresenta una quota estremamente rilevante di valore economico per l’Italia: in una superficie pari ad appena il 2% del totale del Paese, si concentrano il 13% del PIL italiano (per un valore di 204 miliardi di euro) e il 13 % dell’export (per un valore di 63 miliardi di euro).

L’esperienza delle nostre imprese è linterdipendenza: tutti dipendiamo da tutti, nelle idee, nei prodotti, nei clienti, nei mercati. Oggi questi legami ci hanno esposto e ci esporranno in futuro a rischi, che dobbiamo saper governare, attraverso una nuova consapevolezza della sicurezza e una nuova capacità di gestione.

In questo percorso tortuoso sta emergendo quello che gli economisti chiamano «scarring factor». È il «fattore cicatrice», è il rischio di una paura diffusa che può scardinare la fiducia nel lungo termine. Davanti ai nuovi rischi e alle vulnerabilità che tutti abbiamo imparato a conoscere e che fanno parte ancora del nostro presente, la risposta non può essere la rassegnazione. Soprattutto in Europa. Soprattutto nel nostro Paese.

Dopo le ferite apportate dalla recessione dello scorso decennio, non possiamo accettare un decennio perduto, perché sarebbero i giovani a portarne il peso, più di ogni altra categoria.  Per costruire il futuro dei giovani, dobbiamo partire dalla fiducia. In questo nuovo scenario, la fiducia è la base della crescita. La ricostruzione di un tessuto di fiducia è quindi un vero e proprio imperativo, per le istituzioni, per le imprese, per tutti i corpi sociali.

Oggi più che mai, sottolineare l’importanza di superare l’impasse di questi ultimi giorni per non ritardare l’entrata in funzione del pacchetto di aiuti per la ripresa.

Lo stress test per la globalizzazione è stato tale anche per l’Unione Europea, troppo spesso schiacciata dai due giganti globali in conflitto, gli Stati Uniti e la Cina.

Senza l’Europa non avremmo la capacità per partecipare a un confronto mondiale che si gioca su scala sempre più ampia, nella demografia, nel commercio, nella tecnologia. Oggi, l’Italia ha buone ragioni per tornare a credere nel progetto europeo, per scommettere nella svolta degli ultimi mesi. Perché tra gli Stati membri è emersa una nuova consapevolezza: non si può uscire da una crisi di proporzioni inedite senza investimenti comuni, senza responsabilità condivise.

Su questo, rispetto al passato, rispetto alla risposta deludente alla precedente recessione, a questa Commissione Europea va riconosciuto un cambio di passo. Questi mesi hanno dimostrato come non abbia senso minare il progetto europeo, o chiamarsi fuori da esso, mentre l’unica strada è esserne pienamente protagonisti. Il nostro futuro industriale passa per le priorità che l’Europa si è data a partire da quest’estate con il Recovery Fund. Infrastrutture, digitalizzazione, ammortizzatori sociali, scuola, sanità ed economia green, sono investimenti che non possiamo più rimandare. Per noi e per il Paese.

L’approvazione del futuro quadro finanziario pluriennale e il nuovo programma Next Generation EU riconoscono l’ampiezza della sfida davanti a noi e ne indicano l’orizzonte: l’importanza di prendere le decisioni di oggi attraverso gli occhi della prossima generazione.

Per questo, abbiamo in mente un’Europa che non sia timida, che passi rapidamente dai piani alle azioni, dalle buone intenzioni alla capacità di realizzazione. In questo percorso, non c’è e non può esserci un fossato tra Bruxelles e noi: noi siamo l’Europa. Dobbiamo avere una consapevolezza: i costi di quello che non facciamo oggi, si ritorceranno contro di noi domani.

Quando, come imprese, ci troviamo davanti a un prestito a condizioni migliori di quelle del mercato, non perdiamo tempo: presentiamo un piano di investimento e prendiamo quel prestito. Questo è quello che occorre fare con il MES, vista l’esigenza e l’urgenza che abbiamo nel nostro Paese di costruire la sanità del futuro.

Allo stesso tempo, questo è il momento di guardare al futuro, con un impegno in prospettiva. L’Europa riuscirà a incidere sulla trasformazione digitale e sulla sostenibilità solo con un pieno coinvolgimento delle imprese, con un patto comune delle imprese europee. Noi, imprese lombarde, dobbiamo abbracciare questo cambiamento, questo crescente impegno europeo per l’Italia.  Le risorse destinate al nostro Paese vanno utilizzate per trasformare la nostra società, per costruire l’economia del futuro, per generare crescita. Se non saremo capaci di farlo, saremo schiacciati dal debito.

E per la prossima generazione dobbiamo chiederci: come prepariamo i giovani? Come mettiamo le persone in condizione di esprimere al meglio il loro potenziale? La base per fare questo è la formazione: la migliore infrastruttura sociale. Questo è quello che deve tenerci svegli la notte.

Il rapporto delle imprese con la scuola e le università è una delle nostre priorità più importanti.  In questi mesi abbiamo rafforzato le collaborazioni delle aziende sulla formazione, in particolare negli ITS, anche facendo tesoro delle migliori esperienze europee. La formazione tecnica non è di serie B. Al contrario, è uno dei tasselli su cui puntare per la ripartenza del manifatturiero all’insegna dell’innovazione.

Puntare sulla prossima generazione vuol dire liberare una volta per tutte il principale potenziale inespresso della nostra società. Quello delle donne: nel lavoro, nella carriera, ai vertici del management. Quello dei giovani, che deve essere al centro della nostra idea di società.  Non possiamo tenere le nostre migliori risorse in panchina.

Guardiamo cosa è successo in questi anni, per esempio, con le specializzazioni mediche: abbiamo formato persone altamente qualificate e non siamo stati capaci di trattenerle. Per poi renderci conto di quanto avevamo bisogno di loro. La stessa NADEF, recentemente approvata dal Consiglio dei Ministri, riconosce la necessità di cambiare passo su questo tema. Ogni riflessione sulla nostra sanità deve cominciare dal ricordo delle vittime e dal doveroso riconoscimento verso tutti coloro – a partire dagli operatori sanitari – che hanno tanto duramente lavorato in questi mesi per garantire la salute di tutti. Il nostro non deve essere un omaggio retorico: nei prossimi mesi, nei prossimi anni, dobbiamo continuare a investire su queste persone. Il nostro deve essere un impegno a 360 gradi, che migliori i servizi territoriali e che allo stesso tempo rilanci e rafforzi la leadership del nostro territorio sulle scienze della vita.

Una leadership che si basa su una capacità di ricerca e sviluppo e trasferimento tecnologico unica in Italia e che ci pone ai vertici europei. La Lombardia è uno dei motori europei della ricerca: concentra rispettivamente il 21% del totale nazionale sia della spesa in ricerca e sviluppo e sia delle pubblicazioni scientifiche. Siamo leader nel trasferimento tecnologico: solo nel 2019 sono stati depositati 1.493 brevetti della Lombardia allo European Patent Office, ben il 34% del totale dell’Italia.

Con l’avvio di Human Technopole, con la candidatura di Milano al Tribunale Unificato dei Brevetti che abbiamo fortemente voluto, con la candidatura di Milano e Bergamo per ospitare il vertice globale della salute dell’anno prossimo, questo territorio sarà protagonista della crescente competizione internazionale sulle scienze della vita. 

Nel lavoro di collaborazione europea sulla sanità, che speriamo sia accompagnato da un impegno finanziario più forte rispetto a quello uscito il 21 luglio dal Consiglio, la presidente von der Leyen ha annunciato l’istituzione di un’Agenzia Europea per la Ricerca e lo Sviluppo avanzato biomedico. È un’altra partita che vogliamo giocare perché abbiamo tutte le carte in regola per poterla vincere.

Il territorio e il suo saper fare sono la base per qualsiasi ripartenza: “Quello che è accaduto quest’anno pone anche una questione di comunicazione, e di orgoglio del nostro territorio, che deve coinvolgerci tutti. Per questo motivo, nei prossimi mesi, avremo il compito di continuare a raccontare e promuovere i nostri territori al mondo.  Abbiamo il dovere di raccontare le filiere e le vocazioni di Lodi, Monza e Brianza, Pavia, oltre che Milano: per mettere nel “radar” le tante città dell’impresa e della manifattura che costituiscono una filiera completa, una filiera unica in Italia e ai vertici europei, nelle storiche vocazioni agroalimentari, nella chimica e farmaceutica, nella meccatronica, nell’elettronica, nella plastica e nella gomma.

Qui ogni impresa è possibile: questo è il cammino di orgoglio che il nostro territorio merita. Questa è la prima grande sfida da intraprendere. L’imprenditore affronta ogni giorno sfide. A volte si tratta di sfide inaspettate, a volte si tratta di sfide che mettono in gioco la sicurezza. Altre volte ancora, si tratta di sfide che minano il buon governo dell’impresa.

La cultura d’impresa è la responsabilità per la legalità. È stare in prima linea nell’azione contro la mafia, che ha ancora oggi un’allarmante attualità. Su questo tema dobbiamo rafforzare il nostro impegno, con tutti gli attori sociali ed economici che hanno a cuore la libertà. E con una vera regia europea, perché la mafia oggi non conosce confini. Infine, dobbiamo far sentire la nostra voce contro gli inaccettabili fenomeni di intimidazione e la deriva violenta verso le imprese. Per questo, ci tengo a manifestare la mia solidarietà a Marco Bonometti, Giuseppe Pasini e Stefano Scaglia. Davanti alle minacce, nessun imprenditore della Lombardia deve sentirsi solo.

Torno a ripeterlo. Qui ogni impresa è e sarà possibile per un territorio unito, in grado non solo di tornare a crescere, ma di diventare paradigma di un nuovo sviluppo inclusivo. È un messaggio che vale anche per Milano. Il futuro di Milano passa per la riscoperta della sua “città infinita”. La radice di questa area vasta è proprio la storia manifatturiera: le storie delle nostre imprese, le specializzazioni che noi rappresentiamo.

La pandemia ci ha fatto conoscere il volto più triste delle città svuotate. Siamo certi che Milano tornerà a essere una destinazione globale, ma deve iniziare da subito a progettare il futuro. E proprio oggi ci rendiamo nuovamente disponibili a costruirlo insieme.

Nel dibattito sul futuro del nostro territorio e del nostro Paese, vogliamo portare un contributo di concretezza.  Vogliamo guardare oltre i campanilismi e i dibattiti speculativi. Anche la politica, in questa crisi drammatica, ha la necessità di recuperare fiducia. Guardiamo la realtà: troppo spesso, come imprenditori e come cittadini, ci troviamo di fronte a tempi incompatibili con le esigenze di concretezza. Soprattutto oggi, il costo del «non fare» è il conto più pesante che rischiamo di pagare. La capacità di esecuzione è il primo fattore di credibilità di un Paese. Ai progetti devono seguire tempi certi di attuazione e verifica dei risultati. La non concretezza è il più grande limite italiano.

Pensiamo alle opere pubbliche ancora da realizzare o da completare per colmare quei deficit di natura economica, logistica e ambientale che ci separano dal resto dell’Europa. Troppo spesso ultimamente la cronaca ci ha messo davanti alla fragilità del nostro territorio, rispetto ai rischi connessi al dissesto idrogeologico e a quelli legati all’inadeguata manutenzione della rete stradale che impattano anche sulla viabilità e sul trasporto merci, con enormi disagi per le imprese.

Ma non solo, pensiamo alle tante opere ancora incompiute.  Per esempio, la superstrada Vigevano-Malpensa. Non possiamo permetterci attese di vent’anni per opere centrali per i nostri ecosistemi produttivi. E, ancora peggio, rischiare di vedere sfumare questi anni di lavoro. È questo il momento nel quale la politica deve scegliere se proiettare il nostro territorio verso il futuro o lasciarlo ai margini.

Occorre cambiare approccio: in materia tributaria ma non solo. Serve un fisco che sia davvero leva di sviluppo e crescita e non solo strumento per reperire risorse. Occorre «investire» sulla fiscalità. In questa crisi storica, la priorità è accelerare la crescita, anche col rinvio di parte delle imposte sugli utili prodotti dalle imprese e non distribuiti. Ed è essenziale rafforzare e rendere strutturali le agevolazioni sulla ricerca, sulla formazione e sugli acquisti di beni strumentali 4.0.

Perché solo grazie al circolo virtuoso che la crescita può garantire, potremo contare sulle risorse necessarie per gli interventi di cui necessita il nostro Paese e che non sono certo rappresentati da misure come il Reddito di cittadinanza o Quota 100.

Noi imprenditori siamo abituati a prenderci le nostre responsabilità ma ci aspettiamo che anche la politica faccia altrettanto. Nel 2020, non è accettabile che l’infrastrutturazione digitale vada così a rilento.  Perché il digitale non è il futuro. È il presente. L’abbiamo compreso durante questi mesi. 

È questa l’occasione per accelerare la cultura digitale all’interno delle imprese, a partire da quei divari infrastrutturali che il nostro Paese deve rimuovere al più presto. 

Dobbiamo farlo, pur consapevoli delle difficoltà attuali. In Lombardia abbiamo affrontato una situazione del mercato del lavoro critica: il calo registrato nel secondo trimestre 2020 è il saldo trimestrale più negativo dal 2009. Tra aprile e agosto, le imprese lombarde hanno richiesto 490 milioni di ore di CIG, che equivalgono in soli cinque mesi a più di una volta e mezza il record registrato nell’intero 2010.

Vogliamo e dobbiamo immaginare un mondo oltre la cassa integrazione e il blocco dei licenziamenti, perché questa situazione non può essere estesa per sempre.  Noi imprese conosciamo un modo concreto di guardare al futuro: metterci a costruirlo da subito. Con l’etica del lavoro, con la competenza, con la bellezza del nostro saper fare. Unica strada possibile contro un grande nemico: la mediocrità.

Basta con la logica dell’emergenza: servono soluzioni strutturali, partiamo da tre priorità, da tre scelte chiare:

In primo luogo, bisogna cambiare radicalmente una burocrazia che ostacola la competitività delle imprese e lo sviluppo del territorio. Un macigno che grava sul «fare». Il modello Genova, che ha consentito di ricostruire in poco più di un anno il ponte crollato invece che in dieci, deve essere la normalità.

La seconda priorità: Industria 4.0. Quando una cosa funziona, va sostenuta e rafforzata. E oggi, Industria 4.0 va ripristinata nel suo ruolo di misura «dirompente», per accelerare il cambiamento che le aziende devono affrontare: non solo l’acquisto di macchinari nuovi e tecnologia più avanzata, ma anche una trasformazione dei processi di business, produttivi e gestionali.

La terza priorità racchiude il senso dei prossimi anni: non possiamo perdere la grande occasione europea. Abbiamo una grande responsabilità: 209 miliardi per rilanciare il nostro territorio e tutto il Paese. 209 miliardi per dimostrare che l’Italia si lascia alle spalle l’epoca del «non fare».  È la nostra occasione. Non sprechiamola.

In questi tempi drammatici le nostre imprese e tutti i lavoratori hanno già fatto il loro piano di ripresa e di resilienza. Ora ci aspettano mesi altrettanto difficili e importanti, che richiedono tutta la nostra attenzione e tutto il nostro impegno.   

Ed è proprio qui, oggi, che rinnovo il mio impegno a dare ogni giorno dignità al mestiere di imprenditore, a mettere al primo posto l’orgoglio del fare impresa, quel saper fare e fare bene che contraddistingue tutto il nostro lavoro.

Ricordiamoci che indossiamo tutti la maglia azzurra dell’Italia. Qui ogni impresa è possibile.

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