I l Ddl delega approvato lo scorso 5 ottobre dal Governo Draghi contiene la discussa riforma del catasto, che ha creato attriti fra il Premier e la Lega, e che prevede l’introduzione di modifiche normative e operative volte a garantire l’emersione di immobili e terreni non accatastati.
Una riforma del catasto senza tasse aggiuntive
Assieme alla rendita catastale, è poi prevista per ciascuna unità immobiliare la rilevazione del relativo valore patrimoniale. Questo in base – quando è possibile – ai valori normali espressi dal mercato e introducendo meccanismi di periodico adeguamento. Il tutto senza un’alterazione nel gettito tributario, ovvero senza aumentare le tasse per i contribuenti. Nella conferenza stampa il Presidente Draghi ha parlato di “riformulazione del catasto per quello che oggi non è accatastato” aggiungendo che “con delega riformulazione catasto nessuno paga di più o di meno”.
Per applicare la riforma ci vorrà tempo
Sottolineando quindi che, sulla riforma, ci sono due decisioni completamente diverse: “la prima è costruire una base di informazioni adeguata, la seconda è decidere se cambiare le tasse e questa decisione oggi non l’abbiamo presa. Ci vorranno 5 anni”. Se ne riparlerà, insomma, nel 2026. Come fa notare sul Sole 24 Ore Antonio Benvenuti, Professore a contratto di Estimo all’Università di San Marino, “sul piano estimativo, però, «valore patrimoniale» e «valori normali» non hanno una definizione univoca nella letteratura scientifica. Probabilmente tali voci saranno meglio precisate con i decreti delegati. Questo avviene già in molti Paesi, che nei propri sistemi catastali basano la stima su software di rilevazione (Computer Assisted Mass Appraisal, Automated Valuation Model) e si ispirano agli standard catastali internazionali (International Association of Assessing Officers)”.
Ma come si può cambiare il metodo di calcolo della rendita?
Partiamo da com’è determinata oggi la rendita catastale, ovvero per cosiddette “classi”. Gli immobili sono raggruppati in insiemi, indicativamente composti da mille a tremila unità, ai quali sono assegnati un’unica tariffa di estimo media. Determinando così un vantaggio fiscale per gli immobili con i redditi maggiori della rendita media e viceversa una penalizzazione per quelli con redditi minori. Per ovviare a ciò si collegava la rendita media al di sotto dei redditi minimi degli immobili della classe, così da favorire tutti. Una sperequazione che, come sottolinea il professor Benvenuti, “è amplificata dalla rivalutazione forfettaria delle vendite”. Il “vano”, dal canto suo, definisce la consistenza delle unità in categoria A (abitazioni). Determinando però situazioni nelle quali due case diverse di categoria con lo stesso numero di vani potrebbero avere la stessa rendita catastale, seppur di metrature diverse.
Per effettuare una riforma, a parere del professor Benvenuti, è indispensabile dunque cambiare le “modalità di definizione della rendita catastale”. Di conseguenza la revisione non andrebbe incentrata sul valore di questi ultimi. Quale potrebbe essere la giusta linea di condotta, dunque? Basarsi sul reddito (contratti di locazione), impiegando per il calcolo le metodologie di valutazione internazionali (la cosiddetta mass appraisal), dividendo l’aspetto estimale (ovvero il reddito di un immobile) e quello fiscale (l’imposizione). Il calcolo sarebbe trasparente, si ridurrebbero i contenziosi, e gli aggiornamenti si potrebbero effettuare con criteri automatici abbandonando quelli forfettari.
A cura di Marco Zonetti
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