Nel contesto tarantino, in cui ormai da diversi anni ci si interroga sulle prospettive economiche future, cresce il consenso attorno all’Unione Sindacale di Base, che in riva allo Jonio, è nata proprio all’indomani della nota vicenda del sequestro dell’area a caldo dell’allora stabilimento siderurgico Ilva, gestito dalla famiglia Riva, avvenuto nel luglio del 2012. Un’organizzazione sindacale sui generis dal momento che non esita ad ammettere anche la possibilità di chiudere la fabbrica e riconvertire l’economia locale, diversificandola.
E’ per questo che il coordinatore provinciale Usb Taranto, Franco Rizzo, alla domanda se sia possibile conciliare salute e lavoro, risponde così: “Ne sono certo, ma vanno fatti passi decisivi e coraggiosi. Non siamo nelle condizioni di continuare a dialogare con l’attuale gestore dello stabilimento, unicamente perché l’interlocutore è sordo alle richieste che provengono dai lavoratori e dalla comunità jonica, stanchi di vedere calpestati i propri diritti. Parliamo del diritto al lavoro, e ancor prima del diritto alla salute e alla vita. Dipendenti dello stabilimento, quelli che non sono in cassa integrazione, sono costretti ad operare in condizioni di estrema precarietà, dal momento che gli impianti sono ormai fatiscenti, e quindi pericolosi. Paradossalmente, in determinati reparti, vengono messi in cassa integrazione proprio gli addetti alla manutenzione. Spesso, anche di recente, abbiamo registrato incidenti che solo per caso non hanno causato conseguenze tragiche per la vita dei lavoratori. Quindi nessuna stabilità occupazionale e nessuna sicurezza sul lavoro. Per quel che riguarda la città, diverse e autorevoli le argomentazioni scientifiche che parlano di numeri in crescita per quel che riguarda le malattie, anche infantili, che sono ritenute conseguenza dell’inquinamento di derivazione industriale. Da qui il bisogno e la richiesta di rinnovamento che parte dalla città”.
“Raccogliamo questa esigenza per dire che ormai non è più tempo di rimandare” – continua Rizzo. “A Taranto, va intrapresa la strada della svolta, giocando la carta dell’accordo di programma, con il contributo di tutti, enti locali, sindacati, ambientalisti, cittadini… Vanno chiuse le fonti inquinanti e vanno fatti investimenti in una direzione diversa, per assicurare il posto di lavoro agli attuali dipendenti e ai lavoratori ex Ilva in Amministrazione Straordinaria, e per restituire una città vivibile ed un’aria respirabile ai tarantini. La comunità tutta si interroga da tanto sulla possibilità di tenere insieme diritto al lavoro e diritto alla salute e al rispetto dell’ambiente. Senza ombra di dubbio sappiamo che questa possibilità esiste, ed è tempo di attuarla, ma bisogna che la politica faccia scelte importanti a Taranto, come ha fatto in passato per Genova o Trieste. Negli ultimi dieci anni sono andati letteralmente in fumo circa 5 miliardi, utilizzati per alimentare la cassa integrazione; queste risorse, peraltro pubbliche, avrebbero potuto essere utilizzate per dare un’opportunità di sviluppo diverso, e quindi finalmente dignità, ad una città che è da troppo tempo sotto minaccia occupazionale”.