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Il borgo di Mezzana di Cantagallo torna a vivere come Hospice di ispirazione cristiana, dalle cure non solo palliative. Parole d’ordine accoglienza, condivisione, dignità della persona, sacralità della vita e competenza. Sarà aperto a tutti, cure e assistenza in convenzione per i malati in fase terminale. Il progetto di recupero del borgo sulle colline pratesi da sogno diventa realtà.

Se in generale la parola Hospice non lascia spazio alla speranza, quello di Hospice dell’associazione onlus TuttoèVita si. Padre Guidalberto Bormolini, monaco e antropologo, appartiene all’ordine monastico dei «Ricostruttori nella preghiera», spiega le diversità tra le classiche strutture ospedaliere con uguale denominazione e quella voluta, pensata e realizzata da lui, dal lavoro dei volontari dall’associazione e dalla Società Credit SPA, che ogni giorno prende sempre più forma. Il recupero del borgo e le finalità ne fanno una sintesi di ricerca identitaria e di strumento di progettualità condivisa, perché mai come in prossimità della morte occorre celebrare la vita, rispettarla, proteggerla e assisterla, la prima cura accanto al morente è una presenza fatta di disponibilità, attenzione, comprensione, condivisione, competenza, segno di dedizione e amore per il prossimo.

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Con questo atteggiamento la speranza batte l’angoscia. Obiettivo: assicurare un percorso di cure palliative in risposta ai bisogni fisici, ma non ci sono solo quelli; non si possono tenere distanti quelli psicologici e spirituali del morente da una parte e quelli dei familiari che hanno sempre poca considerazione. Il borgo, stato acquistato dall’associazione è un luogo che racchiude un sogno, immerso nei boschi, un villaggio ecosostenibile diviso in diverse stanze, diverse piccole abitazioni o monolocali destinati ai malati e loro familiari, garantendo loro privacy. «Quando uno ha cura dell’essere umano in tutte le sue dimensioni, allora sicuramente conosce anche la cura –dice padre Guidalberto – il mio non è un interesse di tipo antropologico quasi accademico, ma mi interessa prendermi cura dell’essere umano».

Il progetto è della onlus TuttoèVita che si muove in totale autonomia, l’esperienza specifica dei Ricostruttori è di altro tipo, che invece si occupa di centri di preghiera, luoghi di ritiro e di meditazione. Primo Hospice in Europa con certe peculiarità, formula che unisce il ricostruire – segno di nuova vita – e le necessità dell’essere umano nel fine vita, che si traduce nella rinascita del borgo; ma la particolarità non è solo questa. «Si dice primo in Europa – spiega padre Guidalberto – perché in questa area geografica non esistono strutture centrate sulla spiritualità come parte della cura.  La spiritualità secondo i documenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità è una parte fondamentale della cura non è secondaria però questo non viene recepito…bisogna portare qualcosa di nuovo, l’innovazione che stia portando noi».

Padre Guidalberto sottolinea come la natura è terapeutica, fa riferimento agli studi dello scienziato italiano Stefano Mancuso in merito, fa riferimento a movimenti di architettura di altre realtà del nord Europa che propendono verso l’efficacia del ricovero di un soggetto malato nel bosco a contatto con la natura che non in scatoloni di cemento. L’immersione nella natura favorisce il processo della cura a differenza delle scatole alle quali siamo abituati; natura che concilia la meditazione e la spiritualità, di fondamentale importanza, questo è quanto chiedono i principali documenti scientifici nazionali e internazionali sulla cura. «Il nostro Hospice è aperto a tutti – cure e assistenza in convenzione – ci prenderemo cura di chiunque arrivi, per tutti verranno applicate le migliori cure e in più si guarderà alla dimensione spirituale, senza sottrarre nulla alla medicina convenzionale. Tutte e due di pari grado, tutte e due necessarie, è questo quello che rende il nostro villaggio, la nostra struttura Hospice diversa dalle altre dove c’è una parte sperimentale e innovativa. Ci sono già accordi con l’Università di Padova, facoltà di Psicologia, che studierà gli effetti di questo modello di cura».

Inevitabilmente tutto questo genera un senso di frustrazione e impotenza che coinvolge senza eccezioni tutte le figure coinvolte nel delicato contesto. Qualcuno potrebbe pensare all’Hospice come luogo dove attendere la morte, in realtà il borgo sarà un’occasione per ritrovare la dignità della vita, quella stessa tolta dalla malattia. Un posto dove accogliere persone, non pazienti, dove impegnarsi nel rendere più vivibile ogni giorno, in qualsiasi situazione ci si trovi, è una vera prova di amore verso la vita.

di Simona De Donato

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