La realizzazione della Capital Markets Union (CMU) è ormai da tempo un obiettivo strategico centrale nell’agenda politica ed economica dell’Unione Europea. A più riprese, figure di rilievo come Enrico Letta e Mario Draghi hanno messo in evidenza l’urgenza di completare il progetto, sottolineando come la CMU rappresenti una delle chiavi per rafforzare l’economia europea e favorire una crescita sostenibile e inclusiva. Recentemente, la presidente della Banca Centrale Europea, Christine Lagarde, ha ribadito la necessità di tradurre la teoria in azioni concrete, enfatizzando che, senza un’integrazione finanziaria più profonda, l’Europa rischia di rimanere indietro rispetto agli altri blocchi economici globali.
In questo contesto, la finanza alternativa gioca un ruolo cruciale, in quanto offre due vantaggi distinti ma complementari. Da un lato, permette di diversificare le fonti di finanziamento per le imprese e per l’economia reale, dando alle piccole e medie imprese (PMI), ma anche a quelle più grandi, l’accesso a capitali che altrimenti non potrebbero ottenere attraverso il tradizionale canale bancario. Dall’altro, gli strumenti di finanza alternativa, come i fondi di private equity e i fondi di private credit, rappresentano una modalità di diversificazione dei portafogli per gli investitori, generando potenziali ritorni sui loro investimenti nel medio-lungo periodo, in grado di mitigare i rischi associati ai mercati tradizionali.
I fondi di private equity, in particolare, hanno assunto un’importanza crescente negli ultimi anni, canalizzando le risorse di investitori istituzionali italiani e internazionali a favore della crescita di attività imprenditoriali in Italia e in Europa. A fine 2023, secondo i dati forniti da AIFI-PwC, i fondi di private equity attivi in Italia detenevano in portafoglio oltre 2.200 società, con un contributo significativo alla crescita e all’internazionalizzazione delle imprese italiane. Questi fondi hanno una funzione vitale nell’economia, sostenendo le aziende in fase di espansione o di ristrutturazione, contribuendo così alla competitività e alla vitalità del tessuto imprenditoriale europeo.
Nonostante il loro ruolo fondamentale, i fondi di private equity sono spesso oggetto di analisi critiche, sia da parte degli operatori di mercato che delle autorità regolatorie europee. Recentemente, la Banca Centrale Europea ha pubblicato un report sulle esposizioni complesse delle banche verso fondi di private equity e di credito, riconoscendo che questi mercati sono cresciuti notevolmente, ma allo stesso tempo sollevando preoccupazioni riguardo alla presunta opacità di tali strumenti. È importante ricordare che la gestione dei fondi di private equity in Europa è già oggetto di una normativa molto dettagliata, come la Direttiva sui gestori di fondi alternativi (AIFMD), che, introdotta nel 2011, ha stabilito precise regole per la supervisione, la trasparenza e la gestione del rischio. La Direttiva, che è stata recepita nei vari Stati membri con disposizioni specifiche, mira a garantire la tutela degli investitori attraverso criteri di trasparenza, controlli sui rischi e l’adeguata gestione degli aspetti relativi all’antiriciclaggio.
Inoltre, la supervisione da parte delle autorità nazionali sui gestori dei fondi e il meccanismo di condivisione delle informazioni tra i gestori stessi consentono un monitoraggio continuo e un controllo sulle dinamiche del mercato. Di conseguenza, è errato parlare di “opacità” dei mercati del private equity e del private credit, dato che l’armonizzazione normativa a livello europeo ha reso questi strumenti molto più trasparenti e regolamentati rispetto al passato.
Un altro aspetto fondamentale riguarda l’utilizzo della leva finanziaria nei fondi di private equity. Come sottolineato nel report della BCE, il ridimensionamento delle IPO come principale canale di exit per i fondi ha portato molti gestori a fare maggiore affidamento sulla leva finanziaria per remunerare gli investitori. Tuttavia, è importante sottolineare che i fondi di private equity non ricorrono generalmente all’uso della leva per incrementare le risorse disponibili. Le operazioni di Leveraged Buy Out (LBO), dove la leva è effettivamente utilizzata, coinvolgono solitamente veicoli di acquisizione specifici (Special Purpose Vehicle) creati per una singola operazione, e non i fondi in generale. Inoltre, la funzione di risk management dei gestori, che vigila sul rispetto dei limiti di rischio predefiniti, è progettata per monitorare l’uso della leva e garantire che non vengano violati i parametri di rischio stabiliti per ciascun fondo.
Un ulteriore sviluppo interessante riguarda le modifiche recenti alla Direttiva sui gestori di fondi alternativi, con l’introduzione della Direttiva UE 2024/927 del 13 marzo 2024, che ha ulteriormente rafforzato la disciplina dei fondi di credito, con limiti alla leva e vincoli più severi sulla diversificazione. Queste modifiche mirano a garantire che i fondi di private equity e di credito operino in modo sempre più trasparente e sicuro, limitando i rischi sistemici che potrebbero derivare da operazioni troppo speculative o da esposizioni eccessive in determinate aree.
A cura di Tommaso Mazziotti
Consulente aziendale Cred.it Spa
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