É passata piuttosto inosservata in mezzo al grande clamore della brusca interruzione del percorso parlamentare del DDL Zan e tra i provvedimenti importantissimi della nuova Manovra, ma il Senato, su proposta dell’esponente PD Chiara Gribaudo, ha approvato importanti novità per ciò che riguarda la parità salariale uomo donna, ovvero la differenza di trattamento economico che le donne subiscono nel nostro paese rispetto ai colleghi uomini sul posto di lavoro.
L’iter parlamentare
Stranamente, in netta controtendenza rispetto a quanto accade di solito in italia, l’introduzione di queste nuove norme sulla parità salariale uomo donna, hanno avuto un iter abbastanza regolare in parlamento. Quindici giorni per l’approvazione alla Camera e al Senato, nessuna modifica nel passaggio e voto favorevole all’unanimità. La modifica al Codice delle pari opportunità ha avuto vita semplice e consenso trasversale in Parlamento.
Quali sono le novità?
Le nuove norme sono andate ad integrare il Codice delle pari opportunità che risale al 2006. Il fulcro centrale del provvedimento sono le misure per la promozione della parità salariale uomo donna. Fino ad oggi il Codice delle pari opportunità prevedeva che solo le imprese con più di cento dipendenti stilassero ogni due anni un rapporto sulla situazione del personale maschile e femminile in termini di occupazione e retribuzione. Con la modifica la soglia dell’obbligo scende alle aziende con 50 dipendenti. Si amplia così il bacino di interesse della normativa: dalle 13 mila imprese circa con più di 100 dipendenti a 31 mila con più di 50 dipendenti. Questo elenco rimarrà a disposizione delle autorità per eventuali valutazioni di merito. La mancata osservanza dei principi di equità prevede delle sanzioni.
“Ma era veramente necessaria una legge per sancire la parità?“
Il percorso della legge sulla parità salariale uomo donna ha ottenuto un ampio consenso in parlamento. Ma da ciò è nato un interrogativo da parte dei commentatori della politica: “E’ davvero necessaria una legge per affermare un principio che dovrebbe essere acquisito”. Purtroppo in Italia sì. Infatti, come più volte evidenziato negli articoli sulle pari opportunità, in Italia vi è un gap salariale del 43%, ben al di sopra della media europea, che vede il nostro Paese tra gli ultimi in Europa. Questo si traduce con salari più bassi per le donne e mansioni meno qualificanti, senza badare a tutte le tutele che vengono meno. La pandemia non ha fatto altro che peggiorare questa situazione.