Advertisement

Sul sito del Mise (Ministero dello Sviluppo Economico) è da poco comparsa una pagina web dove vengono elencati 10 buoni motivi per cui un investitore dovrebbe investire in Italia. Può sembrare una misura spot, ma in realtà risulta essere un buon identikit del perfetto investitore che il Belpaese sta cercando, in un momento in cui la pandemia ha accelerato i processi di crisi aziendale. Tra queste 10 motivazioni vi sono: il posizionamento geografico, l’esperienza nel settore manifatturiero e nell’export, una forza lavoro altamente qualificata, un’ineguagliabile attrattività turistica e una certa “apertura” agli investimenti esteri.



Advertisement

Volendo approfondire questo ultimo passaggio, dovremmo certamente tener presente il fatto che l’Italia si prepara ad amministrare la fetta più ampia del Recovery Plan (209 miliardi), fondi messi a disposizione da tutta l’Europa (attraverso il Next Generation EU) che serviranno verosimilmente anche a svecchiare l’industria e adattarla alle nuove esigenze di transizione ecologica. Questo anche nel tentativo di arginare le grandi crisi industriali dettate dal fatto che le aziende, in mancanza di regole armoniche sull’imposizione fiscale nell’area Euro, siano portate a delocalizzare anche quando non ci sono perdite, con il risultato della perdita di posti di lavoro.


Ma, nonostante questo, c’è un settore che pare non soffrire questo passaggio storico complicato che ha invertito tutti i parametri in negativo ed è quello delle infrastrutture, settore che viene visto con interesse dagli investitori esteri. Sembra piuttosto singolare ma l’Italia è il paese europeo nel quale molti grandi fondi di investimento internazionali intendono investire di più nelle infrastrutture strategiche. A riferirlo è un importante studio realizzato subito dopo la fine del primo lockdown da uno dei maggiori network di consulenza e revisione (EY) e riportato dal Data Room di Milena Gabanelli.

Attualmente – secondo quanto riportato dal Mise – le imprese multinazionali hanno un peso crescente nell’economia italiana: esse impiegano l’11% della forza lavoro, producono più del 20% del fatturato nazionale e ad esse è riconducibile il 26% dei beni nazionali esportati (Istat, 2014). Secondo l’FDI Confidence Index, l’Italia si colloca al tredicesimo posto per gli investimenti stranieri, superando i Paesi Bassi, la Svezia e l’Irlanda (A.T. Kearney, 2017). La maggior parte di questi investitori sceglie i settori del turismo e appunto delle infrastrutture. Le infrastrutture sono, ovunque nel mondo, uno dei motori per far ripartire l’economia, perché creano ricchezza e occupazione. Ma perché proprio l’Italia è il Paese più attrattivo, e non la più affidabile Germania, Francia o Gran Bretagna? La risposta è nei numeri: da noi il divario fra i progetti in cantiere e quelli da realizzare è più ampio rispetto al resto d’Europa, a causa della mancanza cronica di investimenti. In sostanza ci sono più spazi per costruire nuove cose, rispetto a paesi dove c’è già tutto e la saturazione non permette di programmare nuovi interventi.

Il capitale privato, come abbiamo detto, è disposto a mettere più soldi sul tavolo delle infrastrutture italiane. Il 44% dei 56 interlocutori rappresentativi dei maggiori fondi globali (come Macquarie, BlackRock, Blackstone, Brookfield, ecc) sta facendo piani per investire di più in Italia nei prossimi 12 mesi, anche alla luce dei nuovi impegni presi dal governo per sveltire le procedure di appalto dopo la ricostruzione in tempi record del ponte Morandi. Un altro settore che porta ad investimenti mirati anche in Italia è quello dell’informatica e delle tecnologie. Ogni aspetto dell’economia che ha per vettore lo strumento di internet è destinato ad un pubblico largo, per questo c’è tutto l’interesse a coprire la più ampia fetta di popolazione. Anche in Italia aumenta la presenza di fondi di investimento sulla sicurezza informatica, sull’archiviazione e sulle infrastrutture di rete. Accanto a questo c’è l’immancabile e inarrestabile corsa dei colossi del web e dell’e-commerce che puntano a migliorare il servizio sui territori, creando anche occupazione. La regolamentazione di questa occupazione e al contempo la tassazione di questi giganti del web saranno le sfide che l’Europa (e l’Italia nello specifico) dovrà saper affrontare per far sì che gli investimenti siano strutturali e non soltanto episodici.

A cura di Francesco Gasbarro



Advertisement